mercoledì 25 novembre 2009

Fantastico 187

Il servizio clienti del 187, che potrei definire "dieci volte la stessa domanda, dieci risposte differenti" è uno dei motivi, seppure non il principale, per cui ho lasciato Telecom. Il principale è quello di avermi rifilato a caro prezzo delle baracche che loro chiamavano videotelefoni.

Dopo aver chiuso il contratto con Telecom, hanno cominciato a mandarmi fatture con importo negativo, la prima di -16€, con addebito di circa 50 centesimi per la spedizione. Dopo due mesi, -15.50€, con altro addebito; poi di -15€, ecc. ecc. Quindi tra cinque anni comincerò ad avere io un debito con Telecom che crescerà man mano negli anni.

Interpellati al riguardo, gli operatori del 187 hanno dato fantasiose spiegazioni. Una (il 25/11/2009) mi ha dato ben tre numeri di servizi amministrativi Telecom da interpellare: 800/121181, 800/623623, 800/595805. Peccato che due risultino inesistenti e a uno risponda la coop. Ma il massimo è stato quello secondo il quale le fatture che ricevo vanno sommate: cioè, Telecom mi deve euro 16+15,50+15...

Francamente, davanti a queste risposte non riesco a capire se ci sono o ci fanno...

Aggiornamento (26/1/2010): dopo che ho mandato una raccomandata, intimando che la smettessero di mandarmi le bollette... mi hanno mandato la successiva.

mercoledì 23 settembre 2009

Gli autobus e i taxi di Roma

Scrivo da Roma, dove sono per lavoro. Gli autobus di Roma, rispetto a quelli di Padova, sono una meraviglia di efficienza e di frequenza. Pur avendo diritto al rimborso del taxi ho dovuto rinunciare, perché alla stazione Termini avrei dovuto aspettare mezz'ora per la fila; appunto ho preso la linea 90 espressa che mi ha portato rapidamente a destinazione.

Tornando ai taxi: è incredibile che nel terzo millennio la lobby dei tassinari riesca a imporre simili umiliazioni ai clienti. Qual è il politico che li ha spalleggiati quando si sono opposti all'aumento delle licenze? Sandro Bertoloni? Milvio Berlucconi? Massì, dai, quello con la barzelletta facile... proprio non ne ricordo il nome.

Se ci saranno delle primarie del PD voterò per Bersani. Almeno lui ci ha provato.

domenica 30 agosto 2009

Manganellatori mediatici

Fino a ieri pensavo che Vittorio Feltri fosse un giornalista. Un giornalista di quelli duri, controcorrente, che scrivono cose su cui non sono d'accordo, ma portano avanti con coraggio le proprie tesi e le proprie inchieste. Io li ammiro quei giornalisti.

Poi è venuta l'inchiesta su Dino Boffo, direttore di "Avvenire", del quale "Il Giornale" scrive che sarebbe un "noto omosessuale" condannato per molestie.

Ora, qualunque persona di buon senso capisce quanto sia irrilevante una cosa del genere. Se l'Avvenire scrive castronerie, lo si dimostra nel punto. Se l'Avvenire sbaglia a criticare Berlusconi per la sua vita privata, si dimostra l'erroneità dei fatti riportati o delle conclusioni che se ne sono tratte. Al riguardo, direi che la vita privata di un uomo di governo è una cosa diversa dalla vita privata di chiunque altro.

Questo non è giornalismo, è qualcos'altro che non vale nemmeno la pena di definire. Per fortuna che il povero Montanelli non c'è più, altrimenti chissà che dolore a vedere il giornale, da lui voluto e creato, ridotto a manganello mediatico, a strumento di diffamazione contro coloro che osano criticare l'Egemone. Si starà rivoltando nella tomba!

Aggiornamento (27/9/09): Filippo Facci, che lo conosce bene, parla senza mezzi termini di Vittorio Feltri in questo video su youtube. "Abbiamo assistito a un rovesciamento dello schema giornalistico". "Tutto è una questione di sparare i titoli".

venerdì 7 agosto 2009

Un giorno, una vita in Val Nana

  • Papà, io tornerei alla jeep.
  • Aspettiamo ancora dieci minuti, Marcello. Vediamo come si mette il tempo. Poi deciderai tu, se continuare o meno.


Ci troviamo al Passo dell'Uomo in val Nana. La val Nana, nel gruppo di Brenta, è un esteso altopiano, sulla quota dei 2100 m, circondato su tre lati da una specie di cordigliera di roccia dolomitica. Provo ad accompagnare questa descrizione con un paio di foto, ma lo so che non rendono.
Nessuna delle immagini che pubblico descrive la sensazione di estraniazione dal mondo, provocata dai profumi della vegetazione d'alta quota, dal silenzio interrotto da una brezza leggera, dai fischi di allarme delle marmotte, dal tintinnio delle campanelle delle capre lontane. La solitudine spesso è totale. Né la fotografia descrive il blu del cielo di alta montagna, quando intende essere veramente di quel colore, o il volo dell'aquila solitaria. Con la maturità ho imparato a capire che alcune persone non sono sensibili a queste cose; sono giunto alla conclusione che forse è proprio perché non sono sensibili, e basta. A circa metà della sinistra della val Nana si apre una fenditura nella roccia. Essa è invisibile finché non siete vicini, perché la fenditura non è perpendicolare alla cordigliera, ma parallela: diciamo che al muro formato dalla montagna, piatto e verticale, se ne aggiunge un'altro parallelo e più a valle di circa dieci metri. Tra i due muri, una salita vi conduce dalla quota della valle alla quota della cordigliera: siete nel Passo dell'Uomo. Ho una foto del 2003 (estate caldissima) in cui non si vede ciò che a mia memoria è stato presente in tutti gli altri anni: un blocco di neve, di dimensioni relativamente modeste, diciamo meno di dieci metri, conservato per via dell'assenza di luce solare diretta. Una volta saliti di quota, vi trovate tra la cordigliera e ciò che c'è fuori. In questo punto c'è in una specie di anfiteatro formato da enormi blocchi squadrati di roccia.
Vi potete stendere su uno qualsiasi di essi, sono piattissimi. Tra uno e l'altro delle fenditure profonde. Il mio amico Paolo, quand'ero ragazzo, ci fece cadere dentro il cappuccio della fiaschetta di grappa di mio papà. Al mio ritorno, papà si arrabbiò moltissimo. Torniamo all'anfiteatro. Se c'è un teatro, c'è anche un palcoscenico: qui no, qui c'è il vuoto dello strapiombo, e oltre 1000 metri più in giù è possibile ammirare il famoso lago di Tovel. Detto in breve, si tratta di un meraviglioso posto di montagna. Ne conosco pochi di più belli, anzi forse nessuno. Se vi capita, andateci.

Mio padre mi ha portato qui così tante volte che ancor oggi mi pare di sentire la sua voce dire le cose che sempre mi raccontava quando venivamo qui. La bellezza della natura, la nostalgia di mio padre scomparso da poco, l'avere preso io il suo posto in questa combinazione di adulto che trasmette sapere e ricordi a un ragazzo, creano una combinazione struggente e alimentano la memoria. La croce, con inciso il nome Penasa, classe 1891. Papà mi disse che era il suocero del signor Lorusso, che aveva una baita presso la Malga Clesera. Io lo ricordo a malapena, morì che ero ragazzino, fumava come un turco e anche la moglie, scomparsa anch'essa, fumava tanto. Quando uno dice "brave persone" io mi faccio l'immagine di gente come loro. Papà mi diceva che quando dal lago di Tovel viene la nebbia, bisogna scappare via subito, altrimenti si possono perdere i riferimenti del sentiero, come probabilmente successe al povero Penasa: perso il sentiero, cercò di prendere la via del ritorno a caso, finendo per trovarsi sul bordo dello strapiombo (ricordate? la valle è delimitata da un muro pressoché verticale formato dalle montagne) e di lì scivolò giù per 50 metri. La voce del mio papà mi dice questo e tante altre cose, mi racconta le sue sventure perché io impari dai suoi errori. Mai, mai andare da un avvocato e fare causa a qualcuno. Le cause durano decenni e ti costano una fortuna in avvocati.


Oggi viene la nebbia dal lago, ma io decido di non scappare come faceva mio papà. Io leggo le previsioni su www.meteotrentino.it. Io so che loro non sbagliano mai, mi fido, e le previsioni per oggi sono buone.


  • Papà, io tornerei alla jeep.


Marcello vuole tornare alla jeep e io sarei quasi d'accordo. L'alternativa è andare avanti sul sentiero delle Palete. Il sentiero delle Palete è classificato come severo percorso alpinistico con alcuni tratti esposti e un tratto ferrato. Severo. Tra i termini che possono indicare che un'escursione in montagna potrebbe andare a finir male, questo è l'aggettivo che mi incute maggior timore. Non "rischioso", non "pericoloso". Quelli sono termini da cittadini, i quali vedono un pendio erboso con una pendenza di 50 gradi e si credono che uno possa scivolar giù e morirne. Più che pericolosa, la montagna è severa, com'era anche scritto su un manifesto del Club Alpino tanti anni fa. Vuole essere rispettata, non ama scherzare e se tu non ti comporti bene, può punirti. Guai a quelli che vanno sui percorsi alpinistici in scarpe da ginnastica o che si azzardano ad uscire col maltempo. Visitate una qualsiasi delle tante chiesette alpine. Sono tutte tappezzate di foto di ganzi giovanotti attrezzati da roccia di tutto punto, prematuramente scomparsi. Tornando a noi, non faremmo comunque tutto il sentiero delle Palete, ci vorrebbero otto ore di buon passo e noi siamo lenti e in ritardo. Faremmo solo un pezzettino e poi scenderemmo giù al lago. In definitiva, siamo cittadini anche noi e non abbiamo una preparazione da alpinisti. Oppure possiamo tornare indietro. Ho detto a Marcello che deciderà lui.


  • Papà, guarda che nuvoloni stanno arrivando. Io tornerei alla jeep.

  • Ma dai, proviamo a andare avanti. Così vedi quello che c'è dopo il passo, non l'hai mai visto.

  • Ma è lunga la strada?

  • Sì, è lunga, ma è praticamente tutta discesa.

  • Va bene. Andiamo.


E così ci avviamo per il severo percorso. Non passa molto tempo, e io vedo l'incubo della notte precedente. Il termine incubo non è da considerarsi nel senso letterale, visto che la notte l'ho passata in bianco. Ma anche se vegliavo, continuavo a vedere il mio incubo: il passaggio di sentiero, esposto sullo strapiombo, che ci si para davanti. Visto da fuori, il mio comportamento è strano, se non addirittura irresponsabile: sto portando mio figlio, relativamente digiuno di montagna, su un sentiero che mi spaventa tanto da non avermi fatto chiudere occhio per tutta la notte.


Superiamo quello che io considero il punto di non ritorno. Ora siamo in ballo e dobbiamo ballare. Il cuore mi batte forte. Mi concentro e mi impongo di non tremare con le gambe.


Io sono un depresso. Un depresso lieve, il che significa che non sto tanto male da rovinare la vita di coloro che mi sono vicini, ma abbastanza comunque da patire di sofferenze evitabili. La depressione è esplosa alcuni anni fa, dormivo 20 ore al giorno e non mangiavo, persi dieci chili; poi i farmaci e la psicoterapia mi hanno aiutato, forse non guarito, ma conduco una vita decente. La mia patologia consiste nel reprimere i miei sentimenti, nel nascondere per così dire sotto un tappeto psichico le emozioni. Per qualche motivo, che non conosco, fin da piccolo ho deciso che i miei sentimenti dovevano essere posti in secondo piano, forse perché disdicevoli (avrei voluto che qualcuno morisse?) o forse perché semplicemente mi facevano soffrire. Ma attenzione, quando il depresso reprime le emozioni, le reprime tutte: anche quelle positive. Io do ai miei sentimenti e ai miei affetti poca importanza. Credo che sia molto difficile da capire, per chi non soffre di questi problemi ed anche per chi ne soffre senza consapevolezza. Per rendere un po' l'idea, io mi sono convinto di amare profondamente mia moglie e i miei figli solo dopo molte sedute di psicanalisi. Prima non lo credevo. Mi ritenevo un orso, un duro che caga ghiaccio. Tratto i miei cari con un certo distacco, perché reprimo il sentimento; ma il sentimento esiste, è forte e fa di tutto per uscire.

Il depresso è ostile a se stesso, quindi vuole impedirsi di godere delle belle cose della vita. I periodi più difficili che ho avuto in vita mia sono coincisi con delle promozioni. Se parto per una vacanza, mi sento male. Senza falsa modestia, ho degli elementi per ritenere di essere più intelligente della media. Quindi avrei spesso delle cose intelligenti da dire. Ma quando sto per dirle la mia mente soffre di una specie di blocco cognitivo e non riesco a trovare le parole, se non quando la discussione è chiusa ed è quindi troppo tardi. Mi piace giocare a tresette online. Non sono un giocatore forte ma ho comunque delle strategie e un po' d'esperienza. Tante volte, quando sono ormai vicino alla vittoria, sono in una situazione come fare un gol a porta vuota, sbaglio e perdo. Sono bloccato. Gioco la carta sbagliata e nel momento in cui lo faccio, quel blocco cognitivo viene meno e mi rendo immediatamente conto dell'errore madornale. Così in un sol colpo riesco a rovinare una cosa che mi stava dando piacere, una vittoria meritata al gioco, e creo un'occasione di rabbia contro me stesso; in una parola, rifornisco di benzina il motore della depressione.


La prossima volta voglio poterlo vedere con gli occhi, e non solo con la memoria, questo mostro che mi ha terrorizzato nel buio della notte. Faccio un po' di scatti con la fotocamera.


Il mostro mi si è parato davanti diverse volte nella vita. La prima volta avrò avuto 16 anni e, in compagnia di un amico esperto di montagna, tentai la traversata. Il sedicente esperto, appena inquadrato il sentiero, si squagliò come neve al sole, adducendo problemi muscolari, e dovemmo tornare indietro.

Dovetti affrontare il mostro da solo, ormai uomo. Scoprii che non era per niente un mostro. Dava tutt'al più una strana sensazione il vedere con la coda dell'occhio il vuoto che ti insegue; tutto qui. In seguito, un po' irresponsabilmente, ci portai anche il figlio dodicenne di amici. E allora perché la paura, che pareva definitivamente superata, che anzi non avevo mai veramente avuto, venne fuori quando fu la volta di portarci l'altro mio figlio, il primogenito Germano? Anche allora, come stavolta, non chiusi occhio, la notte precedente. Ora che sono in analisi il motivo è chiaro: dato il rapporto emotivo che mi lega a mio figlio, il motore della depressione entrò in azione per rovinare le emozioni positive legate a quella esperienza.

Germano è per così dire molto prudente, al limite del fifone. Per farlo proseguire, ci imbragammo entrambi e ci legammo con la corda. Dal punto di vista della sicurezza, questa procedura garantisce semplicemente che in caso di infortunio le vittime siano in numero pari. Però, pur trattandosi di un'assurdità alpinistica, essere legato a me lo rassicurò e mi seguì. Rassicurò anche me, nel senso che mise fine alle velleità alpinistiche di mio figlio.


Marcello va avanti tranquillamente e a differenza di me ha pure il coraggio di guardare giù.



La depressione trova sempre un'occasione per rendere sgradevole una cosa bella. Depressione è litigare con tua moglie il giorno che ti promuovono. Trasforma una gita, verso un posto di una bellezza da mozzare il fiato, in un'esperienza stressante. Infatti ho patito stress e fatica, ma non l'ho data vinta alla depressione. Sono esausto, scottato dal sole, ho le vesciche ai piedi, i polpacci bucati dai ganci degli scarponi, ma sono comunque felice, almeno oggi. Chissè come andrà con Anna, fra un po' d'anni, se avrò ancora l'energia necessaria per condurcela.


Sapevo che la traversata è alla nostra portata. Occorrono solamente gambe ferme, non soffrire di vertigini e che il tempo sia buono. Per questo ho deciso di farla. Il resto è depressione.


sabato 4 luglio 2009

Curar l'influenza suina con la grappa, ovvero: della validazione statistica – Prima puntata

ANSA – Il prof. Hans Krupp dell'Università di Vienna ha dichiarato di aver trovato una cura per migliorare il decorso dell'influenza H1N1, meglio nota come influenza suina. Di aver trovato, o meglio di aver riscoperto la cura della nonna: latte e grappa. In un esperimento egli ha somministrato due volte al giorno a dieci pazienti il rimedio della nonna. Il risultato è stato che la durata della febbre è stata di due giorni e mezzo, contro la media di tre per i pazienti curati con altri mezzi. La comunità scientifica è molto divisa sulla validità dell'esperimento.


Come avrete forse capito, questo insolito post parla di statistica. Più precisamente, tratta di come sia possibile trarre delle conclusioni da un'indagine statistica -in questo caso, sull'efficacia di una cura.

Chiediamoci se l'esperimento del dottor Krupp sia valido. La risposta è che basandoci sui soli dati dell'agenzia ANSA non è possibile stabilirlo. Per farlo, avremmo bisogno di informazioni sulla dispersione dei dati. Per capire cosa sia questa dispersione, ipotizziamo due possibili scenari.


Nel primo scenario supponiamo che non solo la febbre causata dall'influenza suina duri in media tre giorni, cioè 72 ore, ma che abbia praticamente sempre quella durata. Supponiamo che siano rari i pazienti che, non curati o curati con altri mezzi, abbiano una febbre che dura meno di 70 ore o più di 74. Allora dieci pazienti che in media hanno 60 ore di febbre sono difficili da spiegare con una coincidenza e si è portati a credere che veramente la cura della nonna funzioni. Questo è uno scenario di dati con bassa dispersione.


Il secondo scenario è uno scenario di alta dispersione. In questo scenario la febbre dura sì tre giorni, in media, ma ci sono molti malati ai quali dura uno o due giorni e più o meno altrettanti ai quali dura quattro-cinque giorni. Per fissare le idee, nei due terzi dei casi la febbre dura dalle 48 alle 96 ore. In questo caso, una persona dotata di logica si ritrova piena di dubbi. Può ben darsi che la cura del prof. Krupp funzioni, ma invece potrebbe essere che casualmente egli abbia scelto dieci pazienti tra i più robusti e ne abbia dedotto una conclusione errata.


In tale secondo scenario, ogni persona di buon senso in questo caso inviterebbe il prof. Krupp a ripetere l'esperimento, magari su 100 pazienti. Ma se dovesse accadere che in questo nuovo esperimento la media risultasse di 66 ore, cosa si potrebbe dedurre? Immaginiamo una discussione tra un fan del prof. Krupp (K) e uno scettico (S).


K: L'esperimento ha avuto successo! Vedi infatti che la durata media della febbre su 100 persone è inferiore alla durata per i pazienti non trattati.


S: Sarà pure inferiore, ma non direi proprio che l'esperimento abbia avuto successo. Tra 66 ore e 72 ore la differenza è piccola. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che i pazienti sono stati scelti in una zona in cui la gente è normalmente più sana e robusta.


K: Ciò che dici è falso. I pazienti non li ha scelti il professore, ma un'agenzia statistica indipendente che ha scelto un campione rappresentativo per età, condizioni di salute e residenza.


S: Comunque converrai che un guadagno di sei ore in meno di febbre è ben poco, ci vuol altro per dire che si è trovata una cura.


K: Ma è comunque un passo avanti. Per alcuni la febbre è stata di sole 24 ore.


S: Sì, ma dai dati leggo che per altri è durata una settimana. E allora come la mettiamo? Io direi che con una variabilità così forte, il fatto che la febbre sia durata in media 66 ore anziché 72 è stato solo un caso.


K: No. 66 ore è poco meno di 72 ore, ma visto che la media è su 100 persone, il risultato conferma la validità della cura.


S: Balle! Per il 30% dei pazienti la febbre è durata addirittura più di quattro giorni, come fai a dire che quei dati significhino qualcosa? Quei numeri non hanno nessun valore.


K: E invece sì.


S: No.


K: Sì.


S: No...


La Statistica ha un metodo preciso per dire chi tra K e S abbia ragione. Con calcoli che per il momento non approfondiamo, è possibile stabilire con una certa precisione cosa accade se scegliamo un gruppo di cento pazienti (si chiama campione di cento pazienti) non sottoposti a trattamento. Questi calcoli portano a un risultato di questo tipo:


nel 99% dei casi, la media della febbre in un campione di cento pazienti è compresa tra x ore e y ore.


Questo è il concetto più difficile di questo post. La frase precedente significa che se si prendono tanti, ma tanti!, gruppi di 100 pazienti, e di ciascun gruppo si calcola la media, nel 99% dei casi questa media risulta compresa tra x e y. Il bello è che non occorre prendere veramente tante centinaia di pazienti: la statistica permette di calcolare x e y a partire dalla media e dai valori della dispersione già noti. Come si calcolino tali valori, è questione che non affrontiamo in questo post. Siamo invece interessati alle conclusioni che si possono trarre sulla cura Krupp. Consideriamo due possibilità.


  1. Supponiamo che la media trovata dal prof. Krupp, 66 ore, sia un valore più piccolo di x. Se la cura di grappa e latte non funzionasse, ciò significherebbe che il prof. Krupp si sarebbe trovato davanti a uno di quell'1% di campioni di pazienti con media anomala. E' difficile credere che uno scelga un campione a caso e vada a prendere proprio quello fallato; siccome infatti non ci si crede, in questo caso si conclude che la cura ha un effetto, magari piccolo, ma rilevabile.

  2. Al contrario, supponiamo il valore di 66 ore sia compreso tra x e y. Questo significherebbe che tra i campioni “normali” di 100 pazienti non trattati ce ne sono anche vari per i quali la durata media della febbre è di 66 ore o meno! E allora in questo caso la statistica si arrende. Può darsi che la cura Krupp funzioni, ma può anche darsi che lo scostamento dalla durata media delle 72 ore sia semplice casualità. In questo caso si conclude che il dato sperimentale non è significativo, cioè che non è una prova. Attenzione: non è provata l'efficacia della cura, ma nemmeno la sua non efficacia!



Concludendo. Qui è stata fatta qualche semplificazione. Ad esempio, quando si fanno esperimenti di tipo medico o farmacologico, di solito si tratta anche un secondo campione (detto campione di controllo) con una cura tradizionale o con una cura placebo. Ciò perché è noto un effetto, chiamato appunto effetto placebo, per il quale anche un trattamento con farmaci inefficaci (quali ad esempio una pastiglia di zucchero) può avere degli effetti terapeutici, dovuti a meccanismi psichici. Poi bisogna pur dire che come ogni metodo statistico esso focalizza un certo effetto (la durata della febbre), ma non è in grado di chiarire se questo effetto ha conseguenze realmente positive (chi mi dice che le complicanze non siano più frequenti quando la febbre dura di meno?)


Ho adottato lo stesso principio in qualche post precedente, parlando di tressette. E devo ammettere che lì ho un po' fatto il buffone. Intanto, laddove ho scritto che la statistica dice che siamo nella normalità, in realtà avrei dovuto dire che la statistica dice che potremmo essere nella normalità: siamo come al caso 2) di quelli trattati sopra. Inoltre, l'analisi statistica che ho fatto riguarda la media dei carichi in una mano, perché è di questo che ci lamenta spesso. Ma la casualità è un concetto molto più complicato. Immaginate un software che secondo gli sviluppatori sia casuale, ma che distribuisca tre carichi a giocatore per mano, sempre. La media è quella giusta, ma vi sembrerebbe una distribuzione davvero casuale? Non credo proprio.


Però c'è una cosa fondamentale da aggiungere. I profani credono che chi ha scritto il software per il gioco del tressette di GDM (www.mygdm.com) abbia anche realizzato da sé un qualche meccanismo per creare la casualità. Io il software non l'ho visto, ma sono certo che non sia così. La generazione di numeri casuali è implementata in ogni linguaggio di programmazione, compreso quello, che non conosco, che i creatori di quel sito avranno adottato. Tale generazione è studiata in tomi pesanti chili da barbosi studiosi d'informatica, da lunghi anni. Tutte le tecniche di generazione note hanno caratteristiche di casualità (veramente si chiama pseudocasualità) assolutamente affidabili. Ecco perché, a mio avviso, è impossibile che il software di GDM distribuisca le carte in un modo diverso da quello che noi riconosciamo come casuale.


(Fine prima puntata. Se proprio vi interessano i conti, ce ne sarà anche una seconda.)

giovedì 11 giugno 2009

Pensierino della sera

Mentre correggo gli elaborati, penso alle studentesse della Facoltà di Ingegneria che oggi li hanno svolti. Alcune sono veramente bellissime; altre sono perlomeno giovani, che è già essere a metà strada della bellezza. Le guardavo affascinato e mi veniva in mente l'intervista a Noemi Letizia, che si proponeva di fare carriera nel mondo dello spettacolo o, quasi che fosse la stessa cosa, nella politica:

Noemi, quando la vedremo in politica, alle prossime regionali? 
«No, preferisco candidarmi alla Camera, al parlamento. Ci penserà Papi Silvio».


Manco le va bene la regione, troppo poco: vuole direttamente il parlamento. E mi chiedevo, ma quando il merito conta meno della merda, chi glielo fa fare a queste ragazze di massacrarsi a studiare matematica, fisica, chimica e a farsi bocciare finché un vecchio barboso barone come me non si ritiene soddisfatto perché hanno imparato per filo e per segno tutti i teoremi?

domenica 7 giugno 2009

Fascisti dentro

Scrivo queste note senza ancora conoscere i risultati definitivi, ma prevedendo com'è inevitabile l'ennesima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi.

Il mio primo pensiero è che a distanza di ormai più di sessant'anni, l'atteggiamento democratico degli italiani è solo una formalità; in realtà, dentro, siamo rimasti in larga maggioranza dei fascisti. Preciso: non credo affatto che il nostro premier sia fascista; penso però che lo siano i suoi elettori, nel profondo del loro inconscio. Ci è rimasto dentro questo desiderio dell'uomo forte, che pensa a tutto, tutto risolve e ci libera della necessità di pensare alla cosa comune. Ci va bene se è forte, ci va ancor meglio se è prepotente e ancor di più se la sua prepotenza è esibita con sfacciataggine. L'atteggiamento popolare nei confronti della politica è paragonabile a quello nei confronti del calcio: ci dividiamo in tifoserie. Così i tifosi berlusconiani godono nel vederlo prevalere sui suoi nemici; non rendendosi conto di essere, nella maggior parte dei casi, loro stessi dalla parte degli sconfitti. Perché sconfitto è, in questa Italia corrotta, chi paga le tasse, chi perde il lavoro, chi tira avanti a stento fino alla fine del mese, chi rispetta le regole.

Sono riluttante ad aggiungere qualcosa alle migliaia di pagine che spiegano come il nostro Presidente del Consiglio sia impresentabile. Provo con una piccola sintesi. Ecco alcune categorie di persone che in Europa o negli Stati Uniti non solo non potrebbero essere capo di governo, ma sarebbero addirittura condannate a sparire dalla scena politica: 1) un politico che legiferi in conflitto con i propri interessi economici; 2) un politico che controlli mezzi di informazione; 3) un politico che attacchi quotidianamente la magistratura, a torto o a ragione; 4) un politico che faccia una legge che depenalizza reati dei quali è accusato; 5) un politico che insulti dei parlamentari europei di altri paesi dando loro del "Kapo'" o che faccia aspettare un capo di governo ospitante dall'altra parte del tappeto rosso, perché ha da parlare al cellulare; 6) un politico che non voglia chiarire alla stampa tutti i dettagli del suo rapporto con una minorenne e al contrario minacci e quereli i giornali che se ne occupano; 7) un politico del quale l'avvocato Mills scrivesse "I turned some very tricky corners, to put it mildly, and so kept Mr B out of a great deal of trouble that I would have landed him in had I said all I knew." (Ho aggirato alcuni spigoli pericolosi, per usare un eufemismo, tenendo in questo modo Mister B fuori da un mare di guai nel quale lo avrei messo se avessi detto tutto ciò che sapevo.) Ebbene, se una sola di queste caratteristiche nel mondo occidentale avanzato esclude una persona per sempre dalla politica, riuscire a restare in sella possedendole tutte e sette insieme rende felice il popolo berlusconiano come una vittoria della nazionale. E se per caso fosse vero che alcuni ministri sono tali per meriti di letto, ciò sarebbe un'ulteriore prova di potenza e quindi una vittoria ancor più gustosa. Che posso dire: contenti loro. Peccato che l'Italia e Mr. B siano diventati la barzelletta di tutto il mondo occidentale, la conferma, della quale davvero non si sentiva il bisogno, di stereotipi e di pregiudizi che oltr'alpe si nutrono sugli italiani. A me questa barzelletta non fa ridere. A me questa barzelletta fa vedere quanto arretrata sia ancora la cultura democratica nel nostro Paese.

Noi italiani giriamo per l'Europa, ma non la vediamo. Non vediamo l'enorme distacco di senso civico che ci separa da loro. Non vediamo che la raccolta differenziata, loro, la fanno da vent'anni, che hanno i termovalorizzatori in città, che pagano il biglietto sull'autobus. Non vediamo che da noi i camionisti guidano anche venti ore al giorno, in disprezzo completo del codice stradale, mentre appena passano la frontiera si mettono subito in regola. Non vediamo di avere un'evasione fiscale di portata tale da potersi considerare un conflitto sociale. E' un infinito provincialismo che ci porta a non vedere queste cose o, se per caso le vediamo, a fare un sorrisetto di scherno e a ritenerci più furbi di quei popoli che vivono tra le nebbie. Ma se un camionista che guida venti ore, o uno che dichiara 10.000 euro e si compra una X5 possono essere ritenuti dei furbi, presi singolarmente, un intero popolo che non rispetta le regole crea un disastro sociale ed economico che si ritorce su quegli stessi furbi, questo è chiaro.

Siamo culturalmente arretrati, nel senso della cultura democratica. Perciò confondiamo la partecipazione politica con la tifoseria e tifiamo per l'uomo potente, prepotente e protervo. Il Mussolini con la faccia del ventunesimo secolo. Mussolini non fu un cattivo politico, nella fase iniziale del suo regime. L'abolizione delle libertà democratiche oggi appare un abominio, ma si trattava di una fase storica diversa. C'era ordine, i treni circolavano in orario e la consegna della posta era più rapida di oggi; così come oggi Berlusconi ha risolto con rapidità il problema dei rifiuti a Napoli, lasciato vergognosamente in piedi da precedenti gestioni di centrosinistra. Poi però, l'assenza di oppositori generò in Mussolini un'illusione di infallibilità e lo condusse a scelte sciagurate e alla rovina della patria. Questo è l'errore da non ripetere: avere un capo del governo al di sopra delle critiche e delle leggi. Dobbiamo un'altra volta sbatterci il grugno? Dobbiamo aspettare il declino economico, la disoccupazione e l'isolamento internazionale per cominciare pensare alla politica in modo più maturo?

venerdì 24 aprile 2009

Il Presidente del Consiglio Parrocchiale

Avrete fatto caso al fatto che il desiderio di darsi una qualche importanza porta la gente ad occupare ogni possibile spazio della convivenza tra esseri umani. Può sembrare strano a qualcuno, ma si lotta per perfino entrare nei consigli di classe, nei comitati di quartiere e nei consigli parrocchiali.

Il consiglio parrocchiale è un organismo consultivo istituito da alcuni parroci per mantenere un maggior contatto con i laici della parrocchia. Naturalmente le decisioni vere le prende il prete. Ci mancherebbe: le anime belle non hanno i piedi per terra e sarebbero capaci di stornare i fondi per la messa a norma dell'impianto elettrico della sagrestia, in favore delle missioni. Se il consiglio elegge un coordinatore, questo viene ad essere una specie di capo laico della parrocchia. Ne ho conosciuto uno. Ti guarda con sussiego, come a dire: “Rispetto, cacchio! Stai parlando col Presidente del Consiglio Parrocchiale!” Se gli chiedi un aiuto, la sua risposta non sarà mai un sì subito, ma un “vedremo”, “non è così semplice”, “ne parlerò con...”. Nulla pare appagarlo di più dell'esercitare i suo minuscolo potere, facendolo pesare quanto più possibile al prossimo. A Napoli alcuni dicono “comandare è meglio che fottere”. Non siete d'accordo? Neppure io.

Ora, è chiaro a tutti che il Presidente del Consiglio Parrocchiale è la prima vittima di sé stesso. Se avesse cose più importanti o interessanti da fare, come dirigere un'azienda, esercitare la professione medica, gestire una cattedra universitaria, ma anche suonare il flauto o riparare vetture d'epoca, non si perderebbe dietro ad un'attività così meschina. Lui sa che gli altri lo sanno e ne soffre. E' chiaro anche che non sono i Presidenti dei Consigli Parrocchiali il male dell'umanità, come lo sono invece i dittatori, i terroristi o le calamità naturali. Piuttosto, farei un paragone con le zanzare o le afte. Tuttavia, come una zanzara, il Presidente del Consiglio Parrocchiale farà in modo di starti addosso il più possibile, perché il senso della sua vita è quello di darti un pizzico.

martedì 14 aprile 2009

Qualche conto sul tressette

In una mano, la probabilità di avere

0 carichi sono del 1,548 %

1 carico sono del 9,778 %

2 carichi sono del 24,2 %

3 carichi sono del 30,73 %

4 carichi sono del 22 %

5 carichi sono del 9,183 %

6 carichi sono del 2,232 %

7 carichi sono del 0,306 %

8 carichi sono del 0,022 %

9 carichi sono del 0,001 %

10 carichi sono del 0,000008 %



Media: 3; Deviazione standard: 1,271.

Ora considiamo 50 smazzate di un giocatore, scelte a caso, e calcoliamo la media.

L'intervallo di confidenza al 99% per la media su tale campione è [2,54;3,46]

Quindi se uno crede di ricevere carte non eque (per es. da un software) può fare così:

* considerare le ultime 50 mani (sono circa 10 partite), ehi non vale scegliersele: le ultime!

* contare i carichi

* se i carichi sono meno di 127 (o più di 173), E' POSSIBILE LE CARTE NON VENGANO DISTRIBUITE IN MODO CASUALE

* MA SE SONO PIU' DI 126 (e meno di 174) LA STATISTICA DICE CHE SIAMO NELLA NORMALITA'

sabato 21 febbraio 2009

101 scuse che non servono a nulla

Le 101 scuse di cui si parla nel titolo (in realtà 36) sono quelle di una campagna contro i viaggiatori abusivi, affisse nella metropolitana di Vienna per oltre cinque anni a cavallo del duemila. Alcune mi sono sembrate molto simpatiche, perciò le traduco. Eccole:

(17) Credevo che la domenica fosse gratis.
(22) Il biglietto ce l'ha mio fratello, ma è nell'altra carrozza.
(34) Me l'ha mangiato il cane.
(35) Non ho trovato l'obliteratrice.
(45) Dall'obliteratrice veniva un ticchettio e mi sono spaventato.
(50) L'aria della metro in arrivo mi ha fatto volar via il biglietto dalla mano.
(56) Volevo pagare dal bigliettaio, ma qui non c'è nessuno.
(63) Credevo che oggi fosse gratis.
(70) L'obliteratrice si è mangiata il mio biglietto.
(83) Non sono mica un viaggiatore abusivo. Semplicemente, non ho il biglietto.

(06) Controlli gli altri prima, intanto lo cerco.
(13) Ho scambiato oggi con ieri, per questo la data del biglietto non corrisponde.
(24) Pensavo che ogni dieci viaggi se ne potesse fare uno gratis.
(42) L'obliteratrice dev'essere senza inchiostro.
(51) Anche ieri ho viaggiato senza biglietto e nessuno mi ha detto niente.
(57) Quando le dico che ho il biglietto, lei deve credermi e basta.
(59) Veramente volevo andare a piedi, solo che mi sono perso.
(72) Veramente vivo a New York e sono qui per caso.
(78) Mio padre mi ha detto che i controllori non ti fanno niente.
(99) Oggi ho pagato già una volta.

(11) Mi vergognavo a chiedere dove fosse l'obliteratrice.
(19) Davanti all'emettitrice dei biglietti c'era uno che non mi faceva passare.
(28) Incomprensibile. Sul mio oroscopo c'è scritto che oggi è il mio giorno fortunato.
(48) Di solito è mia moglie che si occupa di queste cose.
(61) Volevo soltanto dare un'occhiata dentro.
(75) Sono un po' a corto di soldi, ma la settimana prossima pagherò doppio.

(14) Non basta il rimprovero?
(23) Miseria, mia moglie si è presa sia la macchina che l'abbonamento.
(29) Ehi collega, non mi riconosci, lavoro anch'io per le Wiener Linien!
(36) Brutti tempi, quelli in cui nemmeno i controllori possono permettersi il biglietto.
(64) Mi spiace ma non l'ho vista salire.
(76) Lei quanto guadagna? Vuole lavorare per me?

(40) Che ne direbbe di fare fifty-fifty?
(53) Non ho vidimato per non rovinare l'obliteratrice.

(71) Mi madre si è scordata di mettermi il biglietto nello zaino.
(88) Anche i giorni dispari?

giovedì 8 gennaio 2009

Sassolini

Sto diventando impulsivo. Probabilmente è la conseguenza del fatto che ho smesso la cura di antidepressivo e il mio umore va su e giù a sbalzi. Visto che amo la Scienza e detesto i politici (non la Politica), vado su tutte le furie quando un quaquaraquà qualsiasi decide della veridicità di un'analisi scientifica o di una teoria sulla base di tifoserie politiche. Ricordate la cura Di Bella? Un bel giorno i politici di destra decisero, essendo all'opposizione, che il governo dei comunisti stava cercando di ostacolare la scoperta più importante del secolo, cioè la Cura del cancro, per chissà quale retriva ragione. Ricordo ancora, come se fosse adesso, un leader della destra parlare della Commissione Unica del Farmaco come se fosse la cupola di Cosa Nostra. Purtroppo se hai il cancro e vedi in TV un personaggio "autorevole", che magari hai pure votato, dire che la cura c'è ma il governo non te la vuole somministrare, sei portato a crederci. Quanti morti ha sulla coscienza questa gentaglia.

Ma veniamo ad oggi. Vedo in TV, e leggo sul sito de "Il Giornale", un articolo a firma di Paolo Granzotto, intitolato "La Balla Spaziale". Ne riporto una parte perché ne vale la pena:
Adesso, se i membri dell’Accademia Reale delle Scienze disponessero di una seppur modica quantità d’amor proprio e volessero restituire al Premio Nobel quel poco di rispetto che tutto sommato si merita, dovrebbero convocare a Stoccolma Al Gore e Rajendra K. Pachauri, il presidente dell’Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change. E lì, nella sala del concerto dell’Accademia Reale di Musica dove nell’ottobre del 2007 il Bibì e il Bibò del «global warming» ricevettero dalle mani di Re Gustavo il Nobel per la Pace - per la Pace! -, degradarli come si fa con gli ufficiali felloni o traditori. Con obbligo di restituire medaglia d’oro, diploma e, soldi sull’unghia, quel milione e centomila euri che ricevettero di prebenda.
L’abbiamo scampata bella. Se non interveniva la Natura con le sue gelate, le sue piogge e le sue nevicate, se non ci si fosse messa di buzzo buono per riempire fino all’orlo fiumi, laghi e bacini, per rimpinzare - in un fiat, fra l’altro - con trilioni e trilioni di tonnellate di ghiaccio le calotte polari di sopra e di sotto oltre che ghiacciai di tutto il mondo, ivi compreso il dato per morto e sepolto Perito Moreno, se non avesse, insomma, voluto dimostrare che lei fa quel che più le pare e piace strabuggerandosene delle proiezioni matematiche dell’Ipcc e delle quattro puzzette emesse da noi umani, Al Gore e Rajendra K. Pachauri sarebbero ancor qui a dettar legge.

Lasciamo perdere il termine "trilioni" e facciamo finta che ci sia scritto "fantastilioni". E' proprio l'impostazione cialtrona, la presunzione tipica di chi non lo sa nemmeno, di non sapere niente, che mi ha disturbato. Allora mi sono registrato al sito de "Il Giornale", sotto il nick "Brazov" naturalmente, e ho scritto quanto segue.
Ci risiamo: c'è gente, come questo granzotto, che crede che la natura segua le leggi della politica, piuttosto che quelle della chimica e della fisica. E siccome di solito coloro che studiano questioni ambientali sono COMUNISTI, e il comunismo è stato sconfitto dalla storia, ne consegue che sono degli scienziati inattendibili. granzotto, chi come te pensa che una nevicata sia una prova o una confutazione di una tesi scientifica (qualsiasi tesi), non capisce nulla del metodo scientifico. E sono portato a pensare che non capisca proprio un cavolo di niente.

Devo precisare che da amante della scienza io detesto non solo granzotto, ma proprio tutti quelli che la mischiano con la poltica, di qualunque colore essi siano: da quelli che dicono che le fonti alternative possono sostituire il petrolio (di sinistra), passando per quelli dell'inquinamento elettromagnetico e dei suoi presunti-indimostrati danni alla salute (di solito ancora di sinistra), fino a quelli che dicono che il riciclaggio è alternativo agli inceneritori (cobas napoletani).

Come al solito, l'animosità porta a strafare, e forse insultandolo mi sono messo parzialmente dalla parte del torto. Ma che liberazione, però.

In post più vecchi ho scritto più volte dei sondaggi fasulli di Sky e delle volate che continuamente la rete di Murdoch tirava al governo Berlusconi. Ora che il governo ha aumentato l'IVA a Sky, i titoli sono cambiati: si parla del Natale, del nuovo anno, della multa al calciatore Adriano. Intanto lo stato italiano continua ad elargire fondi per comprare i decoder per il digitale terrestre. Così, chi come me paga il canone Sky troverà un aumento, il cui corrispettivo in parte andrà direttamente alla concorrenza. Dal morir dal ridere. Ma tutto sommato la meritata bastonata a Sky allevia parzialmente il dolore del probabile aumento del canone.