domenica 30 agosto 2009

Manganellatori mediatici

Fino a ieri pensavo che Vittorio Feltri fosse un giornalista. Un giornalista di quelli duri, controcorrente, che scrivono cose su cui non sono d'accordo, ma portano avanti con coraggio le proprie tesi e le proprie inchieste. Io li ammiro quei giornalisti.

Poi è venuta l'inchiesta su Dino Boffo, direttore di "Avvenire", del quale "Il Giornale" scrive che sarebbe un "noto omosessuale" condannato per molestie.

Ora, qualunque persona di buon senso capisce quanto sia irrilevante una cosa del genere. Se l'Avvenire scrive castronerie, lo si dimostra nel punto. Se l'Avvenire sbaglia a criticare Berlusconi per la sua vita privata, si dimostra l'erroneità dei fatti riportati o delle conclusioni che se ne sono tratte. Al riguardo, direi che la vita privata di un uomo di governo è una cosa diversa dalla vita privata di chiunque altro.

Questo non è giornalismo, è qualcos'altro che non vale nemmeno la pena di definire. Per fortuna che il povero Montanelli non c'è più, altrimenti chissà che dolore a vedere il giornale, da lui voluto e creato, ridotto a manganello mediatico, a strumento di diffamazione contro coloro che osano criticare l'Egemone. Si starà rivoltando nella tomba!

Aggiornamento (27/9/09): Filippo Facci, che lo conosce bene, parla senza mezzi termini di Vittorio Feltri in questo video su youtube. "Abbiamo assistito a un rovesciamento dello schema giornalistico". "Tutto è una questione di sparare i titoli".

venerdì 7 agosto 2009

Un giorno, una vita in Val Nana

  • Papà, io tornerei alla jeep.
  • Aspettiamo ancora dieci minuti, Marcello. Vediamo come si mette il tempo. Poi deciderai tu, se continuare o meno.


Ci troviamo al Passo dell'Uomo in val Nana. La val Nana, nel gruppo di Brenta, è un esteso altopiano, sulla quota dei 2100 m, circondato su tre lati da una specie di cordigliera di roccia dolomitica. Provo ad accompagnare questa descrizione con un paio di foto, ma lo so che non rendono.
Nessuna delle immagini che pubblico descrive la sensazione di estraniazione dal mondo, provocata dai profumi della vegetazione d'alta quota, dal silenzio interrotto da una brezza leggera, dai fischi di allarme delle marmotte, dal tintinnio delle campanelle delle capre lontane. La solitudine spesso è totale. Né la fotografia descrive il blu del cielo di alta montagna, quando intende essere veramente di quel colore, o il volo dell'aquila solitaria. Con la maturità ho imparato a capire che alcune persone non sono sensibili a queste cose; sono giunto alla conclusione che forse è proprio perché non sono sensibili, e basta. A circa metà della sinistra della val Nana si apre una fenditura nella roccia. Essa è invisibile finché non siete vicini, perché la fenditura non è perpendicolare alla cordigliera, ma parallela: diciamo che al muro formato dalla montagna, piatto e verticale, se ne aggiunge un'altro parallelo e più a valle di circa dieci metri. Tra i due muri, una salita vi conduce dalla quota della valle alla quota della cordigliera: siete nel Passo dell'Uomo. Ho una foto del 2003 (estate caldissima) in cui non si vede ciò che a mia memoria è stato presente in tutti gli altri anni: un blocco di neve, di dimensioni relativamente modeste, diciamo meno di dieci metri, conservato per via dell'assenza di luce solare diretta. Una volta saliti di quota, vi trovate tra la cordigliera e ciò che c'è fuori. In questo punto c'è in una specie di anfiteatro formato da enormi blocchi squadrati di roccia.
Vi potete stendere su uno qualsiasi di essi, sono piattissimi. Tra uno e l'altro delle fenditure profonde. Il mio amico Paolo, quand'ero ragazzo, ci fece cadere dentro il cappuccio della fiaschetta di grappa di mio papà. Al mio ritorno, papà si arrabbiò moltissimo. Torniamo all'anfiteatro. Se c'è un teatro, c'è anche un palcoscenico: qui no, qui c'è il vuoto dello strapiombo, e oltre 1000 metri più in giù è possibile ammirare il famoso lago di Tovel. Detto in breve, si tratta di un meraviglioso posto di montagna. Ne conosco pochi di più belli, anzi forse nessuno. Se vi capita, andateci.

Mio padre mi ha portato qui così tante volte che ancor oggi mi pare di sentire la sua voce dire le cose che sempre mi raccontava quando venivamo qui. La bellezza della natura, la nostalgia di mio padre scomparso da poco, l'avere preso io il suo posto in questa combinazione di adulto che trasmette sapere e ricordi a un ragazzo, creano una combinazione struggente e alimentano la memoria. La croce, con inciso il nome Penasa, classe 1891. Papà mi disse che era il suocero del signor Lorusso, che aveva una baita presso la Malga Clesera. Io lo ricordo a malapena, morì che ero ragazzino, fumava come un turco e anche la moglie, scomparsa anch'essa, fumava tanto. Quando uno dice "brave persone" io mi faccio l'immagine di gente come loro. Papà mi diceva che quando dal lago di Tovel viene la nebbia, bisogna scappare via subito, altrimenti si possono perdere i riferimenti del sentiero, come probabilmente successe al povero Penasa: perso il sentiero, cercò di prendere la via del ritorno a caso, finendo per trovarsi sul bordo dello strapiombo (ricordate? la valle è delimitata da un muro pressoché verticale formato dalle montagne) e di lì scivolò giù per 50 metri. La voce del mio papà mi dice questo e tante altre cose, mi racconta le sue sventure perché io impari dai suoi errori. Mai, mai andare da un avvocato e fare causa a qualcuno. Le cause durano decenni e ti costano una fortuna in avvocati.


Oggi viene la nebbia dal lago, ma io decido di non scappare come faceva mio papà. Io leggo le previsioni su www.meteotrentino.it. Io so che loro non sbagliano mai, mi fido, e le previsioni per oggi sono buone.


  • Papà, io tornerei alla jeep.


Marcello vuole tornare alla jeep e io sarei quasi d'accordo. L'alternativa è andare avanti sul sentiero delle Palete. Il sentiero delle Palete è classificato come severo percorso alpinistico con alcuni tratti esposti e un tratto ferrato. Severo. Tra i termini che possono indicare che un'escursione in montagna potrebbe andare a finir male, questo è l'aggettivo che mi incute maggior timore. Non "rischioso", non "pericoloso". Quelli sono termini da cittadini, i quali vedono un pendio erboso con una pendenza di 50 gradi e si credono che uno possa scivolar giù e morirne. Più che pericolosa, la montagna è severa, com'era anche scritto su un manifesto del Club Alpino tanti anni fa. Vuole essere rispettata, non ama scherzare e se tu non ti comporti bene, può punirti. Guai a quelli che vanno sui percorsi alpinistici in scarpe da ginnastica o che si azzardano ad uscire col maltempo. Visitate una qualsiasi delle tante chiesette alpine. Sono tutte tappezzate di foto di ganzi giovanotti attrezzati da roccia di tutto punto, prematuramente scomparsi. Tornando a noi, non faremmo comunque tutto il sentiero delle Palete, ci vorrebbero otto ore di buon passo e noi siamo lenti e in ritardo. Faremmo solo un pezzettino e poi scenderemmo giù al lago. In definitiva, siamo cittadini anche noi e non abbiamo una preparazione da alpinisti. Oppure possiamo tornare indietro. Ho detto a Marcello che deciderà lui.


  • Papà, guarda che nuvoloni stanno arrivando. Io tornerei alla jeep.

  • Ma dai, proviamo a andare avanti. Così vedi quello che c'è dopo il passo, non l'hai mai visto.

  • Ma è lunga la strada?

  • Sì, è lunga, ma è praticamente tutta discesa.

  • Va bene. Andiamo.


E così ci avviamo per il severo percorso. Non passa molto tempo, e io vedo l'incubo della notte precedente. Il termine incubo non è da considerarsi nel senso letterale, visto che la notte l'ho passata in bianco. Ma anche se vegliavo, continuavo a vedere il mio incubo: il passaggio di sentiero, esposto sullo strapiombo, che ci si para davanti. Visto da fuori, il mio comportamento è strano, se non addirittura irresponsabile: sto portando mio figlio, relativamente digiuno di montagna, su un sentiero che mi spaventa tanto da non avermi fatto chiudere occhio per tutta la notte.


Superiamo quello che io considero il punto di non ritorno. Ora siamo in ballo e dobbiamo ballare. Il cuore mi batte forte. Mi concentro e mi impongo di non tremare con le gambe.


Io sono un depresso. Un depresso lieve, il che significa che non sto tanto male da rovinare la vita di coloro che mi sono vicini, ma abbastanza comunque da patire di sofferenze evitabili. La depressione è esplosa alcuni anni fa, dormivo 20 ore al giorno e non mangiavo, persi dieci chili; poi i farmaci e la psicoterapia mi hanno aiutato, forse non guarito, ma conduco una vita decente. La mia patologia consiste nel reprimere i miei sentimenti, nel nascondere per così dire sotto un tappeto psichico le emozioni. Per qualche motivo, che non conosco, fin da piccolo ho deciso che i miei sentimenti dovevano essere posti in secondo piano, forse perché disdicevoli (avrei voluto che qualcuno morisse?) o forse perché semplicemente mi facevano soffrire. Ma attenzione, quando il depresso reprime le emozioni, le reprime tutte: anche quelle positive. Io do ai miei sentimenti e ai miei affetti poca importanza. Credo che sia molto difficile da capire, per chi non soffre di questi problemi ed anche per chi ne soffre senza consapevolezza. Per rendere un po' l'idea, io mi sono convinto di amare profondamente mia moglie e i miei figli solo dopo molte sedute di psicanalisi. Prima non lo credevo. Mi ritenevo un orso, un duro che caga ghiaccio. Tratto i miei cari con un certo distacco, perché reprimo il sentimento; ma il sentimento esiste, è forte e fa di tutto per uscire.

Il depresso è ostile a se stesso, quindi vuole impedirsi di godere delle belle cose della vita. I periodi più difficili che ho avuto in vita mia sono coincisi con delle promozioni. Se parto per una vacanza, mi sento male. Senza falsa modestia, ho degli elementi per ritenere di essere più intelligente della media. Quindi avrei spesso delle cose intelligenti da dire. Ma quando sto per dirle la mia mente soffre di una specie di blocco cognitivo e non riesco a trovare le parole, se non quando la discussione è chiusa ed è quindi troppo tardi. Mi piace giocare a tresette online. Non sono un giocatore forte ma ho comunque delle strategie e un po' d'esperienza. Tante volte, quando sono ormai vicino alla vittoria, sono in una situazione come fare un gol a porta vuota, sbaglio e perdo. Sono bloccato. Gioco la carta sbagliata e nel momento in cui lo faccio, quel blocco cognitivo viene meno e mi rendo immediatamente conto dell'errore madornale. Così in un sol colpo riesco a rovinare una cosa che mi stava dando piacere, una vittoria meritata al gioco, e creo un'occasione di rabbia contro me stesso; in una parola, rifornisco di benzina il motore della depressione.


La prossima volta voglio poterlo vedere con gli occhi, e non solo con la memoria, questo mostro che mi ha terrorizzato nel buio della notte. Faccio un po' di scatti con la fotocamera.


Il mostro mi si è parato davanti diverse volte nella vita. La prima volta avrò avuto 16 anni e, in compagnia di un amico esperto di montagna, tentai la traversata. Il sedicente esperto, appena inquadrato il sentiero, si squagliò come neve al sole, adducendo problemi muscolari, e dovemmo tornare indietro.

Dovetti affrontare il mostro da solo, ormai uomo. Scoprii che non era per niente un mostro. Dava tutt'al più una strana sensazione il vedere con la coda dell'occhio il vuoto che ti insegue; tutto qui. In seguito, un po' irresponsabilmente, ci portai anche il figlio dodicenne di amici. E allora perché la paura, che pareva definitivamente superata, che anzi non avevo mai veramente avuto, venne fuori quando fu la volta di portarci l'altro mio figlio, il primogenito Germano? Anche allora, come stavolta, non chiusi occhio, la notte precedente. Ora che sono in analisi il motivo è chiaro: dato il rapporto emotivo che mi lega a mio figlio, il motore della depressione entrò in azione per rovinare le emozioni positive legate a quella esperienza.

Germano è per così dire molto prudente, al limite del fifone. Per farlo proseguire, ci imbragammo entrambi e ci legammo con la corda. Dal punto di vista della sicurezza, questa procedura garantisce semplicemente che in caso di infortunio le vittime siano in numero pari. Però, pur trattandosi di un'assurdità alpinistica, essere legato a me lo rassicurò e mi seguì. Rassicurò anche me, nel senso che mise fine alle velleità alpinistiche di mio figlio.


Marcello va avanti tranquillamente e a differenza di me ha pure il coraggio di guardare giù.



La depressione trova sempre un'occasione per rendere sgradevole una cosa bella. Depressione è litigare con tua moglie il giorno che ti promuovono. Trasforma una gita, verso un posto di una bellezza da mozzare il fiato, in un'esperienza stressante. Infatti ho patito stress e fatica, ma non l'ho data vinta alla depressione. Sono esausto, scottato dal sole, ho le vesciche ai piedi, i polpacci bucati dai ganci degli scarponi, ma sono comunque felice, almeno oggi. Chissè come andrà con Anna, fra un po' d'anni, se avrò ancora l'energia necessaria per condurcela.


Sapevo che la traversata è alla nostra portata. Occorrono solamente gambe ferme, non soffrire di vertigini e che il tempo sia buono. Per questo ho deciso di farla. Il resto è depressione.