venerdì 6 aprile 2007

Sandro

Sono convinto che Sandro sarebbe stato del tutto indifferente all’idea di una commemorazione; questo non perché non ambisse di essere al centro della scena o non gradisse la stima e la riconoscenza degli altri, ma piuttosto perché i suoi desideri di gratificazione sono sempre stati in modo estremo per il “qui ed ora”. L'idea poi che questa commemorazione avvenga in un blog che nessuno legge, l'avrebbe trovata da matti e mi avrebbe, come al solito, amichevolmente ridicolizzato. Se l’ho ben conosciuto, lui avrebbe preferito di esser ricordato intorno a un piatto di mare da Shangri-La all’EUR, alla “Taverna dei quaranta” o in quel piccolo locale di Trastevere, "Le mani in pasta". Il minimo che possa fare per lui è di evitare i convenzionalismi tipici in queste occasioni, anche se questo mi costerà un po’.

Ho conosciuto Sandro da studente, durante il corso di Geometria 2. Il titolare dell’insegnamento era Giuseppe T., coadiuvato da Antonella V. e, appunto, Sandro. Lui insegnava la parte di quadriche, svolta con approccio “grafico” e un gusto tutto talliniano per la materia. Con Paolo B. lo canzonavamo un po’ per la sua erre moscia, diciamo, anzi, erre inesistente, chiedendoci cosa fossero mai le “ette” di cui parlava a lezione. Mi colpì molto, quando feci una domanda relativa ad un’affermazione non sufficientemente dimostrata, che si fermasse un minuto o anche più a riflettere, dando poi una risposta precisa ed esauriente. Lo presi come dimostrazione, oltre che di competenza, di serietà e onestà intellettuale. Dopo la laurea i nostri contatti si intensificarono e lui faceva un po’ da mediatore con T., anche nel senso di infondermi fiducia e speranza su ciò su cui T. non avrebbe potuto prendere impegni: la possibilità, prima o poi, di ottenere un posto di ruolo all'università. Rimasi stupito perché in occasione di uno dei primi lavori, del quale avevamo parlato a tre, lui insisté, visto che il principale contributo era il mio, affinché l’articolo uscisse solo a un nome.

Si può avere un buon ricordo di una faticaccia immane come un’affollata sessione di esami a Ingegneria? Per quanto mi riguarda, sì. Mi chiese di aiutarlo un paio di volte a L’Aquila. Si facevano gli scritti la mattina e gli orali il pomeriggio! Cominciai a correggere gli elaborati al ritmo di un quarto d’ora l’uno e se ne disse insoddisfatto. Dimezzai il tempo, non andava ancora bene. Piano piano, anche se forse non converrebbe divulgare certi dettagli, arrivai a due minuti, ma lui fece pressione perché andassi ancora più veloce. Durante gli orali, seguiva la convenzione di Lombardo Radice: quando riteneva fosse il momento, vistava il foglio dell’orale che io stavo facendo con la sigla “LLR” (Lucio Lombardo Radice, appunto, anche se lui non si chiamava mica così!) e in realtà si trattava di un messaggio in codice che voleva dire “ora basta, finisci l’esame e dai il voto”. Quando faccio esami, ancor oggi sfrutto i suoi insegnamenti di allora (a parte la sigla LLR). Fu sempre più critico con i commissari che con i candidati. Era attento a dettagli psicologici, come lasciar esaminare i ragazzi dalle donne e le ragazze dagli uomini: sosteneva che ciò mitigasse la severità del giudizio.

Il Sandro giovane non l’ho conosciuto. Mi raccontano che quando ritirava le 120.000 lire della sua prima borsa di studio, per un paio di giorni arrivava in istituto in taxi; dopodiché i soldi erano finiti e tornava a dipendere dalla mamma. Credo a questo racconto, perché rispecchia assolutamente il suo carattere. Quando ci conoscemmo meglio, scoprimmo di aver abitato a duecento metri di distanza e di aver avuto gli stessi insegnanti al liceo “Cavour”.

Il nostro rapporto è stato sempre asimmetrico; era lui a dirmi come si sta nel nostro ambiente; ma direi, spesso, anche come si sta al mondo. Questo certamente era inevitabile quando io ero un neolaureato. Ma è rimasto così anche dopo e se pure a un certo punto ho fatto un po’ di carriera e mi sono imposto a dargli del tu, il nostro rapporto ha mantenuto le connotazioni di relazione tra discepolo e maestro. Solo che a un certo punto gli insegnamenti non riguardavano più la matematica ma tante altre cose. La distanza che c’era all'inizio, e che lui manteneva per correttezza del suo ruolo, si mutò in confidenza; solo che, del tutto inusualmente, fu lui ad aprirsi, a non aver timore di confidarmi perfino i dettagli più intimi della sua vita privata.

Sandro conduceva una vita di eccessi, nel fumo, nell’alcool e anche in altro. Visto che come condotta di vita io mi trovo all’estremo opposto, la nostra amicizia, diciamo pure affetto, per quanto mi riguarda, sembrerebbe paradossale, eppure avevamo visioni del tutto vicine sul bene e sul male, sulla moralità che non riguarda tanto ciò che uno fa tra le lenzuola, quanto ad esempio come si comporta in una commissione di concorso. Forse era chiaro anche a lui che non sarebbe invecchiato. Mi disse che una volta giunto al cospetto di Dio, avrebbe desiderato chiedergli conto del male che sperimentiamo, del perché si deve soffrire e morire. Cinque minuti prima aveva esclamato: “Dio, come sono contento di essere nato!”. Eravamo alla pensione Shermin di Vienna. Come al solito, avevamo cenato ottimamente.

Gli devo molto per avermi comunicato delle gerarchie di valori ben precise. Per lui c’erano delle cose che contavano e le altre non contavano niente. Contava mangiar bene, si è detto. Ma contava essere corretti con gli altri e nel proprio lavoro. Trovate, se riuscite, un refuso nei suoi libri di testo. Trovate una parola data e non mantenuta. Non per niente alle ultime elezioni per una commissione di concorso, Sandro è stato il più votato, di gran lunga oltre le indicazioni di cordata. Perché lui era apprezzato per serietà, equilibrio e affidabilità. Tanto da essere eletto direttore di dipartimento contro la propria volontà e in presenza di altre candidature. Un direttore che ad una cena sociale preferiva sedersi con Oriana, la segretaria del dipartimento, e il marito, piuttosto che con i colleghi (infatti lo snobismo da “intellettuale” per lui era nella seconda categoria, quella delle cose che non contano niente).

Si atteggiava a cinico assoluto, a nichilista. Ma quando fu in una commissione di concorso e l’esito dipendeva in modo essenziale dalla sua decisione, la notte prima non dormì. Né tollerava l’idea del tradimento nella vita di coppia. Per non parlare della dedizione e dell’affetto con cui si è dedicato alle cure dell’anziana madre malata. Al punto che lei gli è sopravvissuta.

Per lui contava vivere fino in fondo il breve tempo della nostra vita. Una volta, infastidito da una conferenza durata ben oltre i limiti di tempo assegnati, avemmo una discussione, nella quale io sostenni che, suvvia, tutto sommato uno non dovrebbe essere così frenetico da innervosirsi per un quarto d’ora in più speso nell’ascoltare matematica. Lui rispose: “Non capisci che ogni minuto che perdo in questo modo è un minuto in meno che mi separa dalla morte”. E non sono passati nemmeno tre anni da quando lo disse.

E’ a Sandro che ho sempre chiesto consiglio sulle scelte importanti della mia vita, sulle posizioni da tenere in ambito accademico. Dirò di più: in certi momenti sono arrivato a chiedere a lui che cosa volere. E da quando non ho più potuto parlarci, se non so bene come comportarmi in una situazione di difficoltà, penso a cosa direbbe lui. Trovo sempre la risposta. Spesso risulta, a ragion veduta, quella giusta.

Sandro lascia un vuoto in me, e non è modo di dire. Ho perso per sempre un amico e un punto di riferimento insostituibili.

Ho conservato a lungo nel mio cellulare il seguente sms che mi spedì il 24 giugno 2004 alle 22.13:
"Shangri-la: pinot grigio livio felluga, pappardelle al capriccio di mare, moscardini fritti. Sono felice."

Avevo esordito dicendo che a Sandro sarebbe piaciuto essere ricordato dalle persone che gli hanno voluto bene, intorno a un buon piatto e un bicchiere di vino in uno di quei ristoranti dove invitava amici e conoscenti con la sua tipica, spontanea generosità. E per quanto mi riguarda credo proprio che lo farò.