mercoledì 5 novembre 2008
Università e baroni
Di Università, in questi tempi, è piena la rete. Così mi sento esonerato dall'obbligo di spiegare se e cosa c'è che non va nell'azione del governo in carica. Lo fanno meglio di me insigni studiosi, ottimi giornalisti, persino Nature definisce "suicidi" i provvedimenti presi.
Così, mi sento autorizzato a esprimere solo il mio stato d'animo, che è di grande amarezza.
Non ho votato il governo Berlusconi. Tuttavia riconosco che esso esprime la posizione e le idee di gran parte degli italiani. Esprime l'opposizione, a volte più che giustificata, all'arroganza, all'inefficienza, all'autoreferenzialità di molte strutture pubbliche, ministeri, scuole, magistratura, università appunto. Fin qui li capisco. Ma quello che proprio non capisco è la sensazione di rivalsa, quasi di liberazione, che fin troppo evidentemente traspare dalla loro stampa di fronte allo strangolamento dell'Università pubblica. Di fronte a norme che possono un pochino disturbare i "baroni" e le consorterie che gestiscono i corsi di laurea con un solo studente, forse, ma che certamente mettono in ginocchio i corsi di laurea che di studenti ne hanno trecento e gli studiosi che non hanno altri fondi cui attingere per la ricerca se non quelli pubblici. A volte penso che questa gente non sarebbe affatto turbata se le chiudessero proprio, le Università. Ma bisogna dir loro che sono come quel marito che per fare dispetto alla moglie si tagliò i coglioni.
Allora, diciamolo chiaramente: l'Università non è dei baroni o dei comunisti. E' di tutti. Danneggiarla è come disboscare. Significa porre le premesse per un'ulteriore arretramento del nostro Paese. Non bisogna tagliare fondi alle Università: bisogna aumentarli.
Se poi riusciranno a licenziare i fancazzisti e a tagliare i rami secchi io, che spesso accendo la luce nel mio corridoio la mattina e la sera la spengo, sarò felice. E con me la maggior parte dei docenti universitari.
Così, mi sento autorizzato a esprimere solo il mio stato d'animo, che è di grande amarezza.
Non ho votato il governo Berlusconi. Tuttavia riconosco che esso esprime la posizione e le idee di gran parte degli italiani. Esprime l'opposizione, a volte più che giustificata, all'arroganza, all'inefficienza, all'autoreferenzialità di molte strutture pubbliche, ministeri, scuole, magistratura, università appunto. Fin qui li capisco. Ma quello che proprio non capisco è la sensazione di rivalsa, quasi di liberazione, che fin troppo evidentemente traspare dalla loro stampa di fronte allo strangolamento dell'Università pubblica. Di fronte a norme che possono un pochino disturbare i "baroni" e le consorterie che gestiscono i corsi di laurea con un solo studente, forse, ma che certamente mettono in ginocchio i corsi di laurea che di studenti ne hanno trecento e gli studiosi che non hanno altri fondi cui attingere per la ricerca se non quelli pubblici. A volte penso che questa gente non sarebbe affatto turbata se le chiudessero proprio, le Università. Ma bisogna dir loro che sono come quel marito che per fare dispetto alla moglie si tagliò i coglioni.
Allora, diciamolo chiaramente: l'Università non è dei baroni o dei comunisti. E' di tutti. Danneggiarla è come disboscare. Significa porre le premesse per un'ulteriore arretramento del nostro Paese. Non bisogna tagliare fondi alle Università: bisogna aumentarli.
Se poi riusciranno a licenziare i fancazzisti e a tagliare i rami secchi io, che spesso accendo la luce nel mio corridoio la mattina e la sera la spengo, sarò felice. E con me la maggior parte dei docenti universitari.
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